L'ultimo dell'anno è un'occasione per riflettere sulla nostra percezione del tempo e per proiettarci nell'anno che è alle porte. Spesso ci capita di attendere l'anno nuovo come uno scenario temporale indefinitamente grande, mentre l'anno trascorso sembra volato. Secondo me questo accade quando stiamo bene e nutriamo speranze nella vita, mentre se avessimo una percezione di linearità, piatta e regolare, subentrerebbe la noia: la linearità è roba da calendari e agende, non da esseri umani. Anche in musica il grande salto da compiere per passare da studenti a musicisti sta proprio nel modo in cui, suonando, percepiamo il tempo musicale: battuta per battuta (tempo lineare - suono scolastico - banalità e assenza di emozione) o struttura per struttura (tempo a spirale - suono intriso di Mistero, tensione che si risolve e si rigenera - emozione e significato).
Alla base di questo c'è la definizione stessa di musica come linguaggio che vive di tempo per plasmare i suoni dando origine a un flusso ritmico. Quando studiamo il solfeggio esaminiamo i ritmi scritti in partitura per riprodurli fedelmente, mentre quando facciamo arte non stiamo più attenti a riprodurre ritmi, ma a plasmare nel tempo i sintagmi sonori.
Da qui deriva il potere della musica di agire sulla percezione di chi ascolta, trasformando l'orizzontalità lineare del "prima-dopo" nella verticalità di una spirale infinita che si ripristina ad ogni ripresa e si origina come nuova dal silenzio: ecco perché la musica ci viene in aiuto se ci dovesse capitare di perdere la tensione del Mistero.
"Senza i musicisti il tempo sarebbe compreso meno bene. I filosofi sono meno avanzati in questo dominio. Ma noi musicisti possediamo questo grande potere di interrompere il tempo e di farlo andare all'indietro."
Olivier Messiaen, Musique et couleurs: Nouveaux entretiens avec Claude Samuel, Parigi, 1986
Queste parole non sono velate di provocatorietà ma, a ben vedere, vestite di verità; aggiungerei soltanto che anche la poesia può fermare il tempo e riportarlo all'origine. Del resto, niente è vicino alla musica come la poesia: da un lato, la musica è un "fare poetico" senza parole; dall'altro, la poesia ha una profonda natura musicale, nascosta in termini come lirica, canto, ballata, cantica, sonetto, ode... infatti, in origine, la poesia era sempre cantata.
Ecco che la visione antica supporta questa riflessione e mette a fuoco il rapporto tra linguaggio e tempo. Per i Greci, l'arte dei suoni, la poesia e la danza erano un tutt'uno in quanto arti del tempo: il loro insieme era detto Musica, cioè arte delle Muse. A testimonianza di questa concezione, Aristosseno di Taranto (375 ca a.C. - dopo il 322 a.C.) in Elementa Harmonica distingueva tre possibilità di estrinsecazione della "sostanza a cui si riferisce il movimento" (ρυθμιζόμενον): la danza, la parola e il suono.
Ne La musica sveglia il tempo, Daniel Barenboim indaga sulle corrispondenze tra musica e vita e le descrive con la convinzione che non debbano essere privilegio dei musicisti, ma patrimonio di tutti, se riconosciamo che "sviluppare l'intelligenza dell'orecchio" è una necessità fondamentale. Imparare ad ascoltare può aiutarci a ritrovare la fonte di senso delle nostre vite, sovvertendo le consuetudini e cambiando la nostra percezione del tempo.
In analogia con il concetto di tempo soggettivo, quello di tempo relativo elaborato da Albert Einstein (1879-1955) è una grandezza che dipende dalla materia e dall'energia. Ecco la grande scoperta della teoria della relatività: la rete spazio-temporale può essere deformata da materia ed energia. Il pensiero del Novecento, che si è nutrito di questa rivoluzione, ha prodotto concezioni estetiche che hanno infranto la linearità della narrazione classica, fondata sulle tre unità aristoteliche di tempo, di luogo e di azione. La scrittura di Proust e il flusso di coscienza di Joyce si rispecchiano nella visione di compositori come Debussy, Bartók, Messiaen e Ligeti, che hanno concepito un tempo spazializzato, manipolabile e "liquido".
Ripartiamo allora dall'inizio di questa visione musicale, ascoltando il padre della musica del Novecento. Vorrei proporvi La Mer di Claude Debussy (Trois esquisses symphoniques pour orchestre). In questa grande opera, composta nell'arco di due anni in Borgogna e tutt'altro che sulla spiaggia, Debussy esprime il processo interiore della percezione di fronte all'immensità del mare, sulla base dei suoi ricordi d'infanzia. Echi misteriosi articolano il percorso temporale in una forma.
Il tempo musicale risulta un continuum di istantanee, una continua propulsione, un dinamismo che è sospeso tra incanto e fragilità, pur mantenendo la robustezza di un'architettura classica assimilabile a una Sinfonia in tre tempi.
In una lettera Debussy rivela il suo mistero: "Forse non sapete che avrei dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio e che solo per caso ho cambiato strada."
Caterina Barontini